Fr. Eugenio ti racconta la sua storia dall’infermeria di Bologna
“Avevo dodici anni quando entrai in seminario al Convento dell’Osservanza, a Bologna. Mi chiamavo Nello. Ora mi chiamo Eugenio, perché ho scelto questo nome quando, dopo un anno di noviziato a Villa Verucchio, ho professato i voti da frate. Nel 1943 sono stato ordinato sacerdote: non volevo fare il missionario, volevo andare al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma a studiare composizione, ma non mi diedero il permesso.
Mi venne la vocazione alla missione nel novembre del 1946, quando andai con altri frati e laici a Roma per la celebrazione della beatificazione di alcuni martiri cinesi, di cui tre erano della nostra provincia bolognese. Lì, a me venne la chiamata. Perché vocazione vuol dire chiamata: non sei tu che decidi di andare a fare il missionario, è Lui che ti chiama. È il Signore che ti sceglie per andare. E io sentii la chiamata di andare in Cina, a prendere il posto di questi martiri. Il 25 ottobre del 1947 mi imbarcai a Genova su una nave puzzolente: destinazione Cina.
Mi fermai in Cina 4 anni, due dei quali prigioniero del regime comunista. In quel periodo non era facile professare la fede cattolica: c’erano le persecuzioni e i cattolici erano pochi e sparsi nelle diverse città. Quando me ne andai, ricordo che una suora cinese venne da me e mi disse: “Padre, ho sentito che anche tu stai per partire. Voi missionari state andando tutti via, è come una città dove a una a una si spengono tutte le luci. Noi rimarremo al buio”. Poi si mise a piange. E fece piangere anche me.
Dopo la Cina, fui scelto per andare in Papua Nuova Guinea, dove sono stato 47 anni, affezionandomi molto al luogo e alle persone. Sono andato via da lì perché soffrivo di cuore e curare un infarto nel bel mezzo della giungla non sarebbe stato facile. Esattamente vent’anni fa sono tornato in Italia, prima a Reggio Emilia, poi a Bologna, dove mi sono occupato delle missioni e ho fatto l’assistente dell’Ordine Francescano Secolare, i laici che abbracciano la regola di san Francesco.
Per me san Francesco è come un papà e mi ha sempre accompagnato in questa mia lunga avventura missionaria. È il santo più popolare del mondo e da lui ho imparato a voler bene a tutti, a tutti i costi. Solo così, in giro per il mondo, ho potuto portare un po’ di luce e costruire ponti dell’anima, creare una relazione, guardare la gente negli occhi e, poi, lasciar lavorare la grazia di Dio”.