Fr. Raffaele ti racconta la sua storia dall’infermeria di Saccolongo (PD)
Sono nato il 25 ottobre del 1927 e quindi ho 93 anni, molti dei quali trascorsi in un confessionale, ad accogliere, ascoltare, confortare tutti coloro che cercavano speranza. Da bambino avevo poca voglia di studiare ed ero abbastanza debole di salute per cui, finite le scuole elementari, mio padre mi spinse a cercare un lavoro adatto alla mia condizione. Cominciai a lavorare in una sartoria e lì, appeso a una parete, c’era un calendario che raffigurava i frati di Sant’Antonio di Lonigo. Lo guardavo spesso e quando, dopo aver conosciuto il cappellano del mio paese, iniziai a pensare di diventare sacerdote anch’io, decisi di fare il frate e di entrare in convento proprio a Lonigo. Avevo 14 anni.
Dopo essere stato ordinato sacerdote, andai a Roma a studiare teologia. Feci una tesi sulla vocazione di san Bernardo: mi affascinava la sua figura perché era un appassionato di Dio e di tutte le anime. Anch’io, come lui, ho sempre pensato che ogni vita, qualunque essa sia, è una benedizione e che, come tale, bisogna prendersene cura, accoglierla e custodirla. È lo sguardo che ho sempre provato ad avere nel confessionale.
Confessare è una grande fatica, ma anche una cosa meravigliosa. Io l’ho sempre fatto volentieri perché trovare la parola giusta per dare coraggio e pace interiore a una persona che ne ha bisogno è sempre stato per me fonte di grande gioia. Quando mi siedo davanti a una persona e in silenzio ascolto ciò che mi racconta, non mi sento mai solo: Qualcuno mi guida ad avere un cuore grande, misericordioso e accogliente e mi aiuta ad avere la pazienza e il tatto necessari per aprire quella porticina alla speranza e alla misericordia che chi viene a confessarsi lascia socchiusa.
Quando confesso cerco di essere come san Francesco, che ha vissuto la Parola di Dio e ha incarnato il Vangelo. Per me, infatti, vivere il Vangelo è questo: accogliere con amore ogni persona che ho accanto, soprattutto i malati e i bisognosi; condividere il loro dolore e regalare uno sguardo di speranza.
Oggi, purtroppo, qui in infermiera a Saccolongo, a causa delle norme di sicurezza per il Covid, non posso più incontrare tante persone. Prima veniva tanta gente a parlare, con me o con gli altri frati anziani, ma adesso, per prudenza, non è più possibile. È vero, questo non è un ambiente molto vivace, ma c’è una grande serenità. Con gli altri frati mi trovo molto bene e tutti noi siamo accuditi con amore dagli infermieri. Io cerco di ricambiare la loro premura con un sorriso, soprattutto quando, appena arrivati al lavoro, passano di camera in camera a darci il buongiorno e per chiederci come stiamo. Lo fanno con affetto e io non posso fare altro che pregare per loro e per tutti, soprattutto per chi si sente nel peccato.
Questo per me significa vivere da fratelli e mi dà grande gioia, come essere francescano ed essere sacerdote. Confessando io credo di avere fatto del bene a molti. È vero che si sa sempre quello che si dà, ma non si sa cosa si riceve, ma devo dire che in cambio io ho sempre ricevuto un grazie, un sorriso, un gesto di cura. E di questo ne sono grato.